qantu Minar a Delhi
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  • Kathmandu, Nepal – Delhi, India

  • 3 gradi di separazione

Atterro all’aeroporto di Delhi dopo un paio d’ore di volo e ad aspettarmi c’è Smita, amica di un’amica di un amico che ha accettato di accogliermi nella sua famiglia per qualche giorno. È una donna bellissima, dall’aria sicura, il cervello sveglio e i modi gentili: mi bastano pochi minuti che già la adoro. So che probabilmente non è stato facile convincere la sua famiglia ad avere in casa una sconosciuta e per questo la apprezzo ancora di più.

Casa sua è organizzata su due piani: al piano terra la sala, la cucina e la stanza della suocera e al primo piano la sua camera e quella dei ragazzi dove dormirò io. Le famiglie in India vivono spesso sotto lo stesso tetto condividendo spazi e pasti.

Appena arrivata mi rendo conto che la mia valigia non è ancora arrivata e comincio a preoccuparmi, l’autista della famiglia mi accompagna al più vicino ufficio del corriere ma la spedizione non risulta nemmeno a sistema ed è proprio quando chiamo Chennai all’ufficio della Rickshaw Challenge che scopro che la mia valigia non è mai partita e ora mi rimangono solo due giorni per riceverla prima che io riparta. Ormai è tardi per far qualsiasi cosa, così torniamo a casa e Smita e suo marito e mi portano fuori per cena in un delizioso ristorante italiano dove bevo finalmente un ottimo bicchiere di Chardonnay dopo più di due mesi.

La mattina dopo alle 10:00 sono già al centro smistamento pacchi di Delhi dove un uomo fantastico prende a cuore la causa della mia valigia e si da subito da fare. Esco da lì che sono le 13:00 e spero solo che la mia valigia riesca ad arrivare in tempo o non so bene nemmeno io come fare.

Il pomeriggio lo passo a passeggiare per la città andando prima al Qutub Minar, poi al Lotus Temple e al Vasant Viar. Alla biglietteria del Minar c’è una ragazza biondina che non si capisce bene se è in coda o meno perché tutti le passano avanti e lei aspetta senza batter ciglio, la sto quasi per superare pure io quando le chiedo se dovesse far il biglietto e al suo cenno del capo la lascio passare facendole scudo tra gli indiani. È così che Laura e io ci incontriamo e decidiamo di passare il pomeriggio insieme. È appena arrivata in India e si tratterrà qualche mese, avrà decisamente tutto il tempo per imparare a farsi largo sgomitando.

Il minareto con i suoi giardini è affascinante, con i suoi scoiattolini vivaci e la struttura in pietra maestosa. Tanto questo è bello per la sua storia, tanto lo è il Tempio del Fior di Loto per la sua moderna essenzialità: le forme sono nette e perfette, bianche circondato da una piscina turchese e dai giardini smeraldo.

Intorno alle 18:00 ci salutiamo perché ho promesso a Smita che avrei cucinato e dovevo ancora andar al supermercato a comprare il parmigiano. Beh, sono arrivata a casa alle 21:30 dopo che il primo Uber si è perso e mi ha scaricata in un punto a caso, che il secondo Uber si è perso pure lui ma questa volta perché Google ha cambiato l’itinerario che avevo inserito portandoci da tutt’altra parte e quindi niente pasta nemmeno oggi e il giorno dopo sarei andata ad Agra.

Rientro dal Taj Mahal che sono le 21:00, ho cenato in treno e proprio mentre inizio a raccontare la mia giornata ricevo dal corriere la telefonata che conferma che la mia valigia è arrivata a Delhi e che posso andar a ritirala sulla strada per l’aeroporto. Meno male.

Smita e io usciamo a fare due passi e due chiacchiere tra donne e mi racconta della sua start-up, di come questa sia arrivata in finale per un corso a San Francisco in un incubatore in grado di darle gli strumenti necessari per farla avanzare. Parliamo di viaggi, di libertà e di matrimoni combinati, realtà qui in Asia ancora molto sentita e diffusa. Ascoltarla mi fa sentire così fortunata di essere nata in una parte del mondo ed in una famiglia che mi hanno permesso di scegliere da sola che cosa volessi per la mia vita e che anzi, mi supporta in ogni mia decisione.

Penso alla ragazza che in Nepal alla sua festa di fidanzamento non sorrideva, alla tristezza infinita che mi aveva trasmesso nonostante la bellezza del color pesca della sua Sahree e trovo tutto questo così ingiusto.

I dati dicono che in realtà anche in Italia una donna non percepisce lo stesso stipendio di un uomo, che per quanto si parli di pari diritti non è che ci siamo proprio ancora arrivati ma ora non posso che esser felice delle opportunità che la società in cui sono cresciuta e a cui appartengo mi ha dato, tanto da portarmi oggi qui.

Probabilmente fossi nata in India oggi sarei molto simile a lei: mi sentirei implodere per tutto quello che non mi è consentito fare ed essere e proverei comunque al massimo delle mie possibilità di esprimermi e crearmi una strada mia che mi faccia sentire una donna realizzata.

La mattina dopo è ora di ripartire, Shenzen mi aspetta, lei mi abbraccia e mi dice “Vai e fai tutto quello che puoi anche noi anche ancora non possiamo”. Mi si è spaccato il cuore in un secondo e mai come in quell’istante ho sentito l’importanza di quello che sto facendo.

Quello con Smita è stato uno degli incontri che mi ha fatto pensare di più all’importanza di quello di stavo facendo, a qualcosa che io stavo erroneamente dando per scontato.

Qual è l’incontro che ha segnato più degli altri un momento nei tuoi viaggi?