Sono da sola in un ristorante a Puerto Princesa, nelle Filippine, ancora in balia del limbo che mi ha risucchiata che aspetto l’ora giusta per andar in aeroporto e scoprire se mi faranno partire senza passaporto e nell’aria una canzone che fa “she keeps on dancing alone…”.

Voglio raccontarvi una storia, la parte brillante di questa avventura che mi ha tirata in un buco nero senza documenti, senza poter muovermi o reagire più di quanto abbia già fatto. È una di quelle storie che piacciono sempre a tutti, di quelle di parlano di un ragazzo e una ragazza, ma niente di troppo smielato. Parla di coincidenze e di come alle volte ci incontriamo per una ragione ben precisa solo che non lo sappiamo.

Sono arrivata da Manila dopo che il mio volo ha fatto tre ore di ritardo (solo il mio volo) e ormai è troppo tardi per andare direttamente a El Nido. L’amico di un’amica mi dice “perchè non vai a Port Barton?”, beh, al solito, perchè no?

Salgo cosí su un pulmino pieno di ragazzi in viaggio e via. Arriviamo che sono le 16:00 e si può ancora andar in spiaggia cosí mollo la borsa nella stanza dell’amico di questo amico della mia amica che mi ha suggerito di venir qui e in un attimo sono in acqua.

È tutto cosí calmo, mi stendo sulla sabbia e respiro, tiro tutti i muscoli del mio corpo ancora indolenziti dal viaggio. Raccolgo allora la mia borsa e parto all’esplorazione della spiaggia da capo a capo per decidere dove farmi sedurre per la cena. In un locale un ragazzo suona i tamburi mentre altri due chiacchierano tranquilli, più in là coppie si spalmano la crema solare e mentre il sole tramonta mi perdo nelle mille sfumature che il mare raccoglie e disperde sul bagnasciuga.

Ceno a lume di candela, piedi nella sabbia e silenzio intorno mentre la luna è quasi al suo colmo. Torno in camera che sono da poco passare le 22:00 e mi addormento all’istante per svegliarmi nel mezzo della notte e trovarmi nel buio totale, niente elettricità qui dopo le 23:00.

Appena fatto giorno eccomi che chiudo la borsa e mi avvio per capire a che ora sarei potuta partire la sera con il trasporto locale, non voglio spendere altri soldi in pulmino per turisti. Ho proprio voglia di fare una delle diverse escursioni che le agenzie della zona propongono prima di ripartire, viaggiare di notte e arrivare la mattina dopo a El Nido.

Mi fermo in un negozio dove mi dicono che l’unica jeeply partirà di lí a poco, di muovermi ad andar in stazione cosí ringrazio e decido di chiedere a qualcun’altro: mi sembra strano ci sia un solo mezzo che parte in tutto il giorno. Anche la signora dell’alimentari mi dice lo stesso, solo una jeeply e l’avrei persa se non fossi corsa in stazione, cosí esce in strada per accompagnarmi e eccola sbucare dietro l’angolo. Con un gesto della mano fa segno di fermarsi e prima ancora che potessi dir nulla un ragazzo mi fa segno di passargli lo zaino mentre io non riesco a reagire ipnotizzata da degli occhi color nocciola che mi fissano da qualche sedile piú avanti. Quando lui si gira senza saper come sono già salita e la signora mi saluta con la mano.

Non riesco a smettere di guardar le sue spalle abbronzate e i capelli biondi; io non sono un’amante dei biondi, che diavolo sta succedendo? Lui non si gira per tutto il viaggio e ogni tanto ne posso solo sbirciare il profilo quando guarda dal finestrino la meravigliosa foresta che ci avvolge.

Con il suo amico si alzano per scendere e allora il ragazzo dei biglietti mi fa segno di prender lo zaino, ero arrivata all’incrocio dove prendere il mio autobus per El Nido.

Finalmente mi guarda di nuovo, allunga le mani per prendere il mio zaino e aiutarmi a scendere e da donna indipendente quale sono lo ricambio con un “thank you” quasi fredda senza aggiungere altro. Che cafona. Che cretina.

Andiamo tutti e tre all’autobus chiedendo quando costi il biglietto, appoggiamo gli zaini e andiamo a prendere un caffè, ognuno per conto suo. Continuo a dirmi che dovrei attaccar bottone cosí da poter godere ancora delle carezze del suo sguardo ma non proferisco verbo e vado a sedermi nel sedile sperando faccia lui qualcosa.

Invece che fa? Sì addormenta praticamente subito e quindi anche se volessi andar a presentarmi… Niente. “Vabbè abbiamo tante ore di viaggio, prima o poi si sveglierà” penso.

Facciamo una nuova sosta, prendo portafoglio e cellulare e scendo per andar in bagno, quando torno un ragazzo si è messo al mio posto ed è davvero troppo piccolo per rimanere lí con il mio mega zaino ma il posto vicino a lui è ancora libero cosí mi basta un cenno, lui capisce e mi fa spazio. Chiacchieriamo un sacco e sia lui che il suo amico sono in viaggio da molto tempo, cinque anni l’uno e uno e mezzo l’altro. Wow, finalmente qualcuno che può capire come mi sento e con cui condividere bello e brutto del viaggiare a lungo da soli.

Arriviamo a El Nido e siamo gli ultimi a scendere, dietro di noi solo il ragazzo dei biglietti che rassetta il pullman pronto a ripartire. Vado con loro alla guest house per chiedere se hanno una stanza, più tardi chiamerò l’amico della mia amica.

Tutto pieno cosí li saluto dicendogli solo “ci vediamo in giro, tanto qui la città è piccola”, lui mi guarda perplesso e mi allontano. Mi sento subito una stupida, se non dovessi rivederlo più?

È proprio allora che mi rendo conto che la mia borsa non c’è, corro all’autobus sperando sia caduta li e l’abbiamo trovata ma nulla. Sparita. Sono disperata, il mio passaporto e i miei soldi. Non può che essere sull’autobus, è l’ultimo posto dove c’era, qualcuno deve averla presa li e non essendoci nessun altro che l’omino dei biglietti…

Mi accompagnano alla polizia a far denuncia e poi in un dormitorio che dividerò con altre sette persone, sono a pezzi. Il ragazzo che mi ha scarrozzata da un lato all’altro in motorino mi riporta alla stazione dove mi gioco ogni carta possibile per convincerli a ridarmi la borsa ma continuano a negare. Bugiardi. Fortuna c’è un cartello che predica onestà proprio all’ingresso della stazione.

Vado alla guest house dei ragazzi per raccontargli cos’è successo, busso ma non sono in camera cosí vado in spiaggia a godere del tramonto e cercar di calmare i nervi. Continuo a ripetermi “com’è possibile?”.

Quando torno busso e lui mi apre sorpreso della mia faccia da fantasma “siediti e dimmi cos’è successo” e intanto anche il suo amico ci raggiunge. Racconto tutto, sono sconvolti quanto me e si offrono di venir alla polizia, di aiutarmi e cosí fanno. Passano la serata con me e andiamo a ballare, per qualche ora dimentico il casino in cui sono e ringrazio ogni stella in cielo del fantastico supporto che ancora una volta i miei genitori mi stanno offrendo. Nessun rimprovero quando finalmente li chiamo per dirgli della mia sventura e ancora una volta trovo, invece, delle pacche sulla spalla piene d’amore a sostenermi.

La mattina dopo impacchetto le mie cose dopo aver dormito forse due ore e torno alla polizia e alla stazione, niente di nuovo ma non ho nessuna intenzione di perder un minuto di piú, salto su un aggeggio a tre ruote e mi faccio portar in spiaggia. Il mare è la mia medicina per tutto. Poco dopo ecco arrivare i miei amici.

La giornata passa tra chiacchiere e schizzi in acqua finchè un meraviglioso tramonto ci disarma con la sua bellezza. Decidiamo di tornare a piedi dalla spiaggia cosí lui si carica il mio zaino e cominciamo a scalare gli scogli per raggiungere l’altro lato mentre il suo amico fa strada e mi offre la mano ogni volta che c’è un salto un po’ troppo difficile per il mio corpo scoordinato.

Arriviamo in un pezzo di spiaggia completamente selvaggio: solo noi, il mare e il tramonto. La bellezza quando ti colpisce lo fa a pugno duro e non è facile ignorarla e una lacrima mi scende su una guancia: sono cosí felice e disperata insieme. Lui cammina pochi passi avanti a me e sembra leggermi nel pensiero quando mi chiede “quanti colori vedi?”. Vorrei tanto stringere la sua mano, abbracciarlo forte ma non posso: cosí vicino e cosí lontano insieme.

Arriviamo alla guest house e questa volta hanno una stanza per me e alla fine mi fermerò tre notti aspettando di saper qualcosa della mia borsa. Mi addormento immediatamente e il giorno dopo parto per un’escursione. La sera in città lui mi raggiunge da solo e assieme alla mia nuova amica cilena andiamo a ballare.

Rientriamo che sono le tre, sulla porta della stanza lo abbraccio, lo ringrazio di tutto e ci salutiamo lasciando a mezz’aria milioni di pensieri. Pensieri di “se”, pensieri di “ma”. 

Il giorno dopo continua l’agonia della mia attesa, dalla compagnia di autobus stanno arrivando per parlarmi cosí sono sul terrazzino della camera che aspetto. Lui arriva e mi fa compagnia in questo limbo assurdo continuando a cercare di farmi ridere, mi massaggia anche il collo pur di farmi rilassare ma nulla, sono una corda di violino.

Ci raccontiamo, nel modo più pulito e profondo: quando scopri le tue cicatrici a qualcuno lo porti automaticamente più vicino e più le ore passando piú guardo a questo ragazzo sconosciuto come ad una pietra preziosa dando un senso alla luce che quel giorno mi ha fatto salire su quella jeeply senza nemmeno rendermene conto.

Sto andando al mio appuntamento e mi manda un messaggio “in bocca al lupo, se hai bisogno sono qui”. Non so cosa aspettarmi, so che dovrò combattere per le  e mie ragioni, da una parte tremo per l’agitazione, da un’altra sono cosí arrabbiata che sarei pronta ad affrontare un orso. So che hanno loro la mia borsa e sono stufa di esser presa in giro, rivoglio le mie cose!

Ovviamente non si risolve nulla e la mia consolazione si riversa in una pizza anche se non vedo l’ora di andar da lui, raccontargli tutto e farmi coccolare dal suo sguardo. Domani poi partiremo entrambi ma con direzioni opposte.

La serata la passiamo tutti e tre in spiaggia chiacchierando e ballando. Finchè rimaniamo soli e finalmente arriva quel tanto desiderato bacio: la luna, le stelle, il mare, la musica e lui che mi stringe cosí forte da dar un senso bello a tutto quello che mi sta succedendo. Nel male di questo limbo che mi tiene sospeso ho lui che mi aiuta a mantenere l’equilibrio tra le cose, che si prende cura di me e non sono sola per una volta.

Mi racconta la sua parte della storia: quella in cui i suoi occhi erano rimasti rapiti da una ragazza che stava salendo sull’autobus con un grande zaino blu, della sua delusione quando ha visto che non sembravo scendere alla stessa fermata, al suo guardarmi con la paura di sfiorarmi e rovinare tutto.

Mi dice che si sente cosí stupido per aver perso tanto tempo quando invece io sento che nulla potrebbe esser più perfetto. È vero, ci saluteremo domani ma non ci saremmo mai raccontati cosí e ora non sarebbe tutto cosí bello.

Busso alla sua porta prima di andare via e gli lascio la seconda medaglietta che avevo comprato in Nepal con l’ideogramma che rappresenta la casa, ci abbracciamo un’ultima volta e vado all’autobus.

Mentre mi allontano ho il flash di averlo visto sulla spiaggia appena arrivata accanto al ragazzo che suonava i tamburi prendo il cellulare e non si sa come, prima di concentrarmi sul musicista lo inquadro. È solo un secondo ma lui è lí, ci eravamo già incontrati ma ci serviva tutto questo casino per trovarci, anche se per un solo istante.

Chissà se lo rivedrò mai, fa parte del rischio del viaggio. Lui in cosí poco tempo mi ha fatto vedere come dovrebbe guardarmi, parlarmi, trattarmi l’uomo che un giorno sarà al mio fianco e non c’è nulla di più lontano di quanto succedeva prima. Mi ha fatto un regalo bellissimo: ha aperto i miei occhi e ora quello che prima mi sembrava desiderabile oggi è completamente senza sale, senza colore e senza senso. Ora forse inizio a guardare nella direzione giusta e sono pronta a ricominciare a ballare da sola, piú felice che mai, ora so cosa cercare.

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