Il più grande Paese del continente oceanico, l’Australia oltre ad offrire estese aree naturali protette popolate da svariate specie sia animali che vegetali, ha avuto soprattutto negli ultimi decenni un importante sviluppo sostenibile in termini di utilizzo di energie rinnovabili e efficienza nella gestione dei rifiuti.

Proponiamo qui di seguito, alcuni tra i più significativi esempi di “buone pratiche” che hanno permesso e tuttora permettono di collocare l’Australia, tra le principali nazioni che fanno dell’ecosostenibilità una fondamentale risorsa per uno sviluppo e una crescita nel rispetto dell’ambiente.

Grazie alla vastità dei suoi territori, la diffusione di impianti ad energia rinnovabili è cresciuta di gran lunga negli ultimi anni, promettendo addirittura di raggiungere entro il 2030 l’obiettivo del 100 % green energetico, in particolare con lo sfruttamento del vento (energia eolica).

Affiancato all’eolico, si sta spingendo sempre più verso fonti alternative al fossile (carbone, gas, petrolio), come l’idroelettrico, il fotovoltaico e l’uso delle biomasse anche in settori fondamentali come quello del trasporto.

Per quanto riguarda invece il tema dei rifiuti, nel lontano 1995 è stata proprio la capitale Canberra ad adottare la cosiddetta “strategia rifiuti zero”, secondo cui, attraverso diverse pratiche (es.: raccolta differenziata), pone di riprogettare la vita ciclica dei rifiuti considerati non più come scarti ma risorse da riutilizzare come nuove materie prime (“materie prime seconde”).

Oltre le pratiche presenti anche da noi (raccolta porta a porta, isole ecologiche, servizi di ritiro rifiuti a chiamata), una curiosità che si può incontrare spesso in Australia è il deposito di materiali (che i cittadini non vogliono o non possono più utilizzare) fatto sui marciapiedi di fronte alle abitazioni, segnalato con un cartello “free to take”.

Gli australiani, infatti, hanno la passione per l’usato ed il riciclo e, proprio per questo motivo, le cose lasciate sul ciglio della strada spariscono da un giorno all’altro, perché prelevate da chi ne farà delle nuove risorse.

Una domanda sorge spontanea: secondo voi, normativa permettendo, potrebbe essere “importata” da noi un pratica simile al “free to take”?