Siamo ormai a più di otto mesi di viaggio e ho alle spalle circa una trentina di voli ma se c’è una cosa che non cambierà mai è la mia ansia da aeroporto. Non ci posso far nulla, finchè non sono al di là del varco non riesco a tranquillizzarmi.
Il primo trauma, quello più grande è al check in. Mentre aspetto in coda (cosa che ormai sapete che adoro) scruto con attenzione il volto di hostess e steward cercando quello dall’aria più simpatica e una volta individuato comincio a sperare fortemente di capitare al suo sportello. Se questo succede tiro il primo respiro di sollievo, se non è così, spero di essermi sbagliata e che pure l’altro, in fondo, non sia così male.
Ci siamo, è quasi il mio momento, mi chiamano e avanzo con passo sicuro sfoggiando il sorriso più bello che ho ed esordendo con un entusiasta “buongiorno! Come stai?” e cerco subito di rompere il ghiaccio alla ricerca di quella complicità che potrebbe farmi abbonare gli eventuali chili di troppo o non controllare il peso del bagaglio a meno. Perchè si sa che, soprattutto sui low cost, il bagaglio a meno di solito pesa di più di quello in stiva.
Mentre appoggio la valigia sulla bilancia guardo con ansia il display dipingendomi di volto di una falsissima tranquillità mentre racconto disinvolta le mie avventure della giornata: l’uber in ritardo, il treno che si è rotto, il mio gatto che si sente solo a casa. Insomma, qualsiasi cosa per stordire il povero malcapitato distraendolo dai miei bagagli.
A questo punto si aprono due scenari: quello in cui l’ho fatta franca e raccolgo tutta contenta la carta d’imbarco e saltellando me ne vado verso i gate e quello per cui mi trovo ad aprire la valigia nel bel mezzo della corsia alla ricerca di quel qualcosa di pesantissimo che una volta eliminato mi farebbe proseguire senza ulteriori problemi evitando di sbandierare davanti a tutti le mie mutandine che, ovviamente, sono sempre nella tasca a rete in bella vista. Una volta ho fatto il volo con quattro libri in mano, per dire.
Acrobazie fatte, passaporto e carta d’imbarco alla mano mi avvio al metal detector altro mio nemico giurato. Quasi sempre mi ritrovo a buttar giù alla goccia quella bottiglia d’acqua che mi ero portata per il viaggio ma che immancabilmente per l’ansia da check-in ho dimenticato di bere. Ovviamente se me la ricordo, altrimenti poco dopo qualcuno con dei guanti azzurri la toglierà dalla mia borsa brandendola in alto come una il tizio della spada nella roccia prima di buttarla nel cestino. Ammetto, sull’ultimo volo ne avevo una nella borsetta e una nel trolley, un disastro, insomma.
Mi appoggio al tapis roulant e in un secondo tolgo power bank, tablet, caricatori e telefono per riporli in un cestino, la borsa in un altro con il bracciale e l’anello di acciaio comprati in Cambogia mentre il trolley va da solo. Tempo medio? Dieci secondi scarsi. Io quelli che ci mettono venti minuti proprio non li capisco. Un po’ il problema delle code che si ripresenta, ma anche una mancanza di organizzazione: su su, circolare!
Attraverso sicura il varco perchè non portando cinture, gioielli o stivali con le borchie non suono praticamente mai e questa è l’unica prova dell’aeroporto che affronto con serenità . Quasi sempre mi fermano per controllare la limetta per le unghie che, però, essendo in vetro viene riposta nel beauty e posso finalmente tirar un respiro di sollievo: sono dall’altra parte.
Superare i controlli significa una cosa sola: duty free, profumo. Così comincio ad aggirarmi con l’aria annoiata e disinteressata tra gli scaffali per non vedermi arrivare una commessa mentre apro decine di tappi di profumi per scegliere che fragranza avrà oggi il mio viaggio. Non è mai la stessa, ogni aeroporto e ogni destinazione hanno bisogno di qualcosa di diverso: alle volte qualcosa di fresco, altre qualcosa di dolce, altre ancora un sapore maschile. Non ho mai comprato un profumo in aeroporto perché è come se quel momento avesse qualcosa di unico e non fosse quello buono per scegliere con lucidità qualcosa che andrà bene anche una volta fuori nel mondo vero.
Un errore da non far mai nei duty free è quello di guardarsi allo specchio: qui le luci fredde dei neon ti faranno sembrare pallida, con le macchie rosse, le occhiaie profonde e i pori grandi come i crateri della luna. A quel punto è la fine.
Sentirete il bisogno di provare fondotinta costosi che tanto non vi potreste mai permettere (ne probabilmente vorreste il contrario), rossetti dai colori sgargianti per contrastare quella piattezza che avete in faccia e là, sempre che non siano le 6:00 del mattino o le 23:00, momento in cui pure le commesse mollano in colpo, le vedrete arrivare come condor per mettervi la pressione dell’acquisto. Cosa che non rientra assolutamente nei piani.
Altra prova da superare è quella del Toblerone: al supermercato sotto casa lo guardate con indifferenza ma qui, nel duty free sembra qualcosa di terribilmente appetitoso, qualcosa di irresistibile. Credo di non averne mai mangiato uno al di fuori dell’aeroporto. Assieme a lui ovviamente pacchi di caramelle così grandi che renderebbero felici intere scuole elementari, chupa chups giganti, ferrero rocher come pompelmi, bottiglie di alcolici formato famiglia, stecche di sigarette. Così arriva la vera sfida del guerriero: passare oltre senza comprare nulla di minatorio per la mia salute (e per la mia cellulite!).
Superato anche il duty free arriva il momento gadget: non sono una grande amante delle cosine acchiappa polvere ma tra tutte quelle esposte trovo sempre qualcosa di “utile! in cui investire i miei ultimi spiccioli di moneta locale prima di ripartire: le bandierine di stoffa con cui un giorno personalizzerò una giacca, una cartolina, una rivista da donna piena di utilissimi consigli, una sciarpa colorata…
Una volta risolta anche la questione: “come smaltisco questi ultimi soldi” si parte alla ricerca del gate studiando con attenzione la collocazione delle prese elettriche e il livello di copertura del wifi. Ebbene si, non ci crederà nessuno, ma la mia ansia da aeroporto mi porta ad arrivare ore (si, avete capito bene ore, due di solito) in anticipo e quello è il momento in cui finalmente mi rilasso mettendomi a scrivere.
Mi piace darmi un tono con un tea o una spremuta d’arancia appollaiata sullo sgabello alto mentre passo veloci le dita sui tasti come una vera business woman. Già, una business woman con il trolley con la spiaggia e le palme disegnate… Vabbè, un giorno crescerò e la rimpiazzerò con una di pelle rossa, fucsia o turchese, ma fino a quel giorno le palme andranno benissimo.
Ora che il controlli sono finiti la mia ansia si è completamente sciolta e quando si fa l’ora di imbarcarsi cerco una sedia con vista sul gate e me ne sto là tranquilla finchè la fila non sarà completamente smaltita e potrò far ingresso in aereo con il mio passo svelto sempre da donna in carriera, o da milanese imbruttita, come preferite. Il mio sorriso per le hostess è grande come per quella al controllo bagagli, ma un po’ più sincero e ricco di empatia.
Quando ero piccola sognavo di esser una di loro ed ancora oggi quando le vedo sgambettare tutte insieme per i corridoi dell’aeroporto mi dico che ci sarei proprio stata bene anch’io là in mezzo ma la vita ha scelto di tenermi con i piedi per terra, mi ha detto che ho già la testa vola anche troppo.
Ti prego dimmi che hai anche tu la stessa ansia! O raccontami quali sono i tuoi riti a cui non sai rinunciare quando viaggi… Insomma, fammi sentire meno paranoica!
Ciao mi chiamo Roberta è un piacere fare la tua conoscenza.
Le mie ansie da viaggiatrice si dividono tra controlli al gate e il tempo che occorre per uscire di casa e non perdere il volo.
Sono consapevole che la mia ansia non ha senso e in più adoro volare, ma ogni volta che devo imbarcarmi sembra di dimenticare l’intera prassi! 😀
Complimenti per la tua tecnica narrativa spontanea e appassionante! A presto! 🙂