Quando ormai tre anni fa decisi che volevo diventare una travel blogger non avrei mai immaginato di trovarmi qui oggi con il dubbio di aver preso la decisione giusta, con la sensazione che è tutto molto diverso da come sembra.
Immaginavo i viaggi lontani, i racconti di avventure e disavventure, i consigli di ciò che avevo imparato sulla mia pelle e che forse poteva essere utile per qualcun altro. Tutto questo lo trovo bellissimo, è la naturale evoluzione delle tre cose che amo più al mondo: raccontare, viaggiare e far qualcosa per gli altri.
Nell’ultimo anno ci sono stati i viaggi lontani, i racconti di avventure e disavventure e i consigli; insomma, era tutto più o meno come me lo immaginavo. Cos’è cambiato? Cosa mi sta facendo cambiare idea? Il mercato.
Già il mercato e non quello del giovedì nel centro del paese ma la direzione e la piega che figura di “narratrice digitale” sta prendendo. É un dato di fatto che il modo più “rapido” e facile per guadagnare e vivere di questo siano le collaborazioni con i brand ma questa cosa sta sfuggendo decisamente di mano.
Qualche giorno fa sono andata a sbirciare il profilo di alcune colleghe così da vedere che cosa facessero, magari trovare qualche idea o comunque confrontarmi. Beh, più aprivo una dopo l’altra le loro foto Instagram più mi veniva la nausea e ho dovuto arrendermi al fatto che quelli non erano album di condivisione di esperienze e consigli ma un vero e proprio catalogo pubblicitario.
Un po’ come il vecchio Postalmarket ma con un’offerta più ampia: occhiali, vestiti, macchine fotografiche, creme, parrucchieri, beveroni disintossicanti.. Insomma, quando trovavo una foto senza la famigerato scritta #ad, ora imposta per legge onde tutelare dalla pubblicità occulta, mi stupivo e non ha senso: dovrebbe esser il contrario.
Anch’io ho fatto qualche collaborazione, ho avuto degli sponsor che mi hanno sostenuta durante il mio giro del mondo ma la sensazione è che non sia più una sorta di matrimonio con un brand di cui condividi valori e messaggio ma proprio un “tutto fa brodo”. Dov’è la spontaneità? Quanti di questi “consigli” sono puliti e reali e quanto invece sono frutto di un compenso? Sono confusa e anche un po’ schifata.
Qualche settimana fa mi sono iscritta ad una piattaforma che crea un filo diretto tra blogger piccoli e medi e brand, così alla prima campagna con un prodotto che comunque consumo ho partecipato: 30 euro per tre post sui Social. Tutto il mio lavoro di un anno e mezzo era valutato da un sistema che va per quantità e non per qualità 10euro per una foto con relativo stress infinito della povera account che mi rincorreva. Follia.
Quando sono partita per il viaggio stampa in Moldova ero l’unica travel blogger, gli altri erano giornalisti e già la prima sera uno di loro senza mezzi termini mi ha detto: “voi blogger siete la feccia del nostro tempo, siete dei venduti e state distruggendo il mercato della comunicazione con i vostri selfie e la vostra visione egocentrica ed autocelebrativa”. Ci sono rimasta molto male e mentre aspettavo di prender sonno non riuscivo a pensare ad altro.
Purtroppo non potevo che dargli ragione: non mi rivedo nelle sue parole come Nicky, ma dovevo dargli atto che il trend è proprio questo anche se ancora un po’ ingenuamente non avevo realizzato quanto fosse tristemente grave e non stava esagerando in nulla. Da quando mi sono seriamente preoccupata di aver a Una specifica va fatta: molte di questi ragazzi e ragazze che si definiscono come travel blogger in realtà sono più propriamente influencer ma è chiaro che finchè non c’è distinzione tra queste due categorie (nemmeno da parte di chi ci rientra) è normale che è difficile tracciare un confine.
Un blogger per essere tale deve avere un blog ed avere un blog non è solo aver un dominio internet in cui di tanto in tanto si pubblica qualcosa, ma una vera e propria piattaforma con articoli, itinerari, consigli, ecc. costantemente aggiornata e che genera traffico.
Un influencer lavora con i social media creando contenuti che vanno a “influenzare” i trend con i proprio gusti, consigli, stile di vita, ecc. ecc.
Presa dallo sconforto ho iniziato come Sherlok Holmes a controllare i blog di questi ragazzi e la maggior parte di questi non fanno nessun traffico o davvero molto poco rendendo evidente che la loro attività e principale fonte di guadagno viene dai social e dai numeri che muovono lì, veri o finti che siano.
Facendo un passo indietro, quali sono gli altri modi di vivere di “narrazione digitale”? C’è chi fa i tour, chi guadagna dal traffico del sito, chi dagli affiliati (in questo post spiego meglio “come guadagnare con un blog”) e con uno sguardo un pochino più attento non è difficile capire quale sia il core business di ogni profilo.
Partendo dal principio che il lavoro di tutti merita di essere pagato, non ci trovo nulla di male, anch’io sono pagata per scrivere articoli, raccontare la mia esperienza o lavorare con brand di cui condivido i valori ma qual è il confine accettabile tra spontaneità e marchetta? Difficile. La paura è che tra poco questo diventerà ancora più incontrollato finchè scoppierà nella disillusione più totale andando a colpire anche chi con questo non c’entra nulla.
È proprio in questo momento che mi trovo a metter in discussione tutto: voglio davvero entrare in un mercato dove per sopravvivere in mezzo a tanta concorrenza diventerà sempre più difficile rimanere “puliti” e percepiti come tali? Voglio davvero rientrare in un contesto che non mi piace cercando comunque di emergere come pecora nera? Come potrò raccontare questa differenza ed esser presa sul serio?
Potrei smettere le collaborazioni ma questo significa che anche quelle spontanee ed in cui credo devono essere eliminate rendendo molto più difficile il sostentamento del blog, dei miei viaggi e del mio lavoro.
Otto anni fa ero a New York ed incontrai Clio MakeUp, ricordo perfettamente le sue parole: “non recensirei mai un prodotto in cui non credo, ci sono aziende che mi contattano in continuazione e a volte parlo di prodotti che mi sono stati mandati in regalo ed altre non nomino nemmeno quelli che erano disposti a pagarmi. La fiducia è dura da guadagnare e facile da perdere, non fare quei 100, 200, 500 euro”.
Proprio lei da sempre è il mio punto di riferimento in questo mondo balzano: sono passati anni ed è sempre la stessa spontanea e pulita ragazza di allora e so che se devo scegliere la crema solare su di lei posso contare. Allo stesso modo quando mi deprimo come oggi penso a lei, a come sia riuscita a mantenere fede a questa promessa venendone ampiamente ripagata.
Sono confusa e triste e quello che mi fa più arrabbiare è di come tutti si scaldino accusando i bot (sistemi automatici per like, commenti, follow/unfollow sui diversi social) e chi li usa senza rendersi conto che il sistema è malato alla base: è un truffatore chi li usa ma non lo è chi consiglia prodotti solo perchè è stato pagato per farlo, è un truffatore chi una la tecnica follow/unfollow ma non lo è chi ci mette in competizione su social media che mostrano i nostri contenuti solo pagando o dedicando ore e ore di tempo mettendo like e commenti a profili random.
Strano mondo quello del web e io non so se riuscirò a ritagliarmi anche in futuro un modo per rimanere autentica e poter lavorare di questo senza cedere a compromessi che davvero non fanno per me. Se un giorno mi vedrete lavorare in un bar o mollare la spugna non sarà perchè è finito l’amore o la passione per tutto questo, ma perchè ne ho avuto abbastanza e mi vergogno di esser una travel blogger.
Il viaggio è passione e condivisione vera e ormai di tutto questo in giro vedo ben poco.
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Un flusso disordinato di pensieri il mio in cerca di ordine, cosa ne pensi di tutto questo? Hai avuto la mia stessa percezione?
Il problema è il modello di business, ormai stantivo, per il mondo dei bloggers. Arriva l’agenzia di turno che gira le briciole di un budget fornito dal cliente.
Il problema di fondo è: come guadagnare per essere un travel blogger? Bisogna pensare alle risposte. Tra gli esempi più belli visti, c’era un travel bloggers che non prendeva un $ dalle agenzie, ma si autofinanziava i viaggi (e quindi sceglieva per piacere le destinazioni nel mondo, e non con i viaggi stampa organizzati dalla stessa location) tramite la vendita sul proprio sito di “consigli per la pianificazione di un viaggio” a tipo 250$ a pianificazione a prescindere se per fare il giro del mondo o andare a 1 km da casa. Oppure un altro che si faceva pagare non dalle destinazioni, ma da tutti i fornitori per l’equipaggiamento dei sui viaggi (es: canon per le foto, timberland per le scarpe, ecc.). In tutti e due i casi, quello raccontato dei luoghi era assolutamente più veritiero di qualsiasi altro tipo di esperienza tipica di questo mercato markettaro.
Credo che in questo, come in tutti i mercati, sia necessario posizionarsi correttamente, ritagliarsi o addirittura crearsi una nicchia.
E confermo quanto già scritto sopra, sul generare un nuovo modello di business.