Con Stefan (se non sai chi è vuol dire che non hai letto il mio post precedente, puoi recuperare cliccando qui) abbiamo noleggiato una moto e siamo andati all’inizio del sentiero per l’Australian Base Camp, uno dei pochi campi in Nepal facilmente raggiungibili e per cui non c’è bisogno di nessun permesso o guida.
Kara, è a poco più di un’oretta di strada da Pokhara e la strada è in condizioni abbastanza buone da permettere anche agli autisti meno esperti di affrontarla senza troppe difficoltà. Arrivati in cima abbiamo ordinato due birre e patate e formaggio! Amo le patate e amo il formaggio. Tanti mesi lontani da Paesi montani, in cui di solito sono tra gli alimenti più diffusi, si stavano facendo sentire e sono così felice di averli finalmente ritrovati!
Saluto Stefan e mi avvio sulla montagna, sono da poco partita quando mi accorgo di non aver più il cellulare. Ho scattato una foto meno di 500m prima e ora si è volatilizzato: rincorro i ragazzi che ho incrociato sulla strada chiedendo se lo avessero visto e mi dicono di no, proviamo a chiamare ma è già spento. Meno di 5 minuti in una strada dove eravamo in quattro sono bastati a l’unico che mancava all’appello per prender il mio telefono, spegnerlo e sparire nella foresta. Nemmeno a Milano mi hanno mai fregata, pensa te se doveva succedere in mezzo al nulla!
Presa dallo sconforto torno in paese dove incontro i due ragazzi tibetani da cui avevamo comprato qualche monile e mi aiutano a comunicare con i locali cercando di capire se qualcuno avesse visto il ragazzo che aveva preso il mio telefono ma nulla. Mi abbatte sempre un sacco quando qualcuno si comporta male apposta e rubare ad un viaggiatore è ancora più grave: è come se tagliassi il suo cordone di collegamento con casa, con la sua vita, come se spazzassi via ogni punto di riferimento che ha in una terra non sua.
Da parte mia per un attimo mi sono sentita davvero persa: non avevo l’indirizzo di casa di Stefan né il suo numero di telefono, me nemmeno quello di chiunque altro qui in Nepal, non avevo una mappa, non avevo più nulla. Un bel respiro profondo, qualche lacrima e sono salita in pullman per tornar in città alla ricerca del mio amico. Per fortuna la città è piccola e lui abbastanza abitudinario.
La mattina dopo, al caffè accanto a casa mi consigliano di mettere sul giornale un annuncio puntando al buon cuore di chi, una volta scoperto che il telefono era bloccato, volesse redimersi e restituire il cellulare. Di nuovo, allora, salgo in moto con uno sconosciuto e via alla volta del giornale e poi della polizia. Forse dovrei smetterla di saltar su qualsiasi sella, soprattutto considerando che qui si guida senza casco per il passeggero. Ovviamente nessuno ha mai chiamato e mi rimane solo un foglio di giornale ritagliato a ricordo di quel triste giorno.
Due giorni dopo con Elena, un’amica ucraina di Stefan, decidiamo di tornare all’Australian Base Camp per terminare quanto avevo iniziato e cominciamo di nuovo male. Il ragazzo dei biglietti dell’autobus prova a fregarci con una tariffa più alta del normale e, essendoci stata due giorni prima, non mi faccio incantare dal suo tono deciso nel dirci 100,00 rupie. Sapevo di non aver pagato tutta la corsa il giorno che sono tornata senza telefono ma tra 55,00 e 100,00 la differenza era davvero troppa così lo sfido:
“perché oggi costa di più?” la mia amica capisce al volo e mi spalleggia “è perché siamo ragazze, perché siamo turiste o perché siamo bianche che dobbiamo pagare di più?”.
Il poveretto è confuso e con la scusa di controllare la fermata si allontana e abbiamo il tempo di confermar il tempo con un altro passeggero che ci conferma 75,00 a testa, così prepariamo una banconota da 100,00, una da 50,00 e lo aspettiamo. Arriva e senza nemmeno guardarci in faccia prende le banconote, ne sfila una da 20,00 dalla sua mazzetta e ce la restituisce senza dire una parola. Nemmeno noi fiatiamo e appena ci gira le spalle Elena ed io ci guardiamo con aria complice, pazzesco riceviamo addirittura il resto.
La passeggiata dura poco più di un’ora e più ci allontaniamo più i rumori delle macchine sono lontani fino a non sentirsi altro che gli uccellini. Ogni tanto incontriamo gruppi di turisti con al seguito dei ragazzi del posto che portano i loro zaini, ci salutano e passano oltre. Arriviamo in cima e finalmente eccole, le montagne!
Bellissime, immense, con le punte ricoperte di neve contro il cielo azzurro intenso: c’è voluto tanto ma finalmente eccole. Come tutte le cose belle, nemmeno questo spettacolo è fatto per durare e in poco meno di un’ora grandi nuvole le avvolgono nascondendole completamente. Poco male, è ora di rientrare e a valle ci aspettano altre patate con il formaggio!
Una volta tornate in città ci imbattiamo nei festeggiamenti per un matrimonio: le gambe sono stanche ma la curiosità per assistere a quei balli e canti di donne in rosso sono irresistibili.
Ovviamente capiamo a stento di che cosa si tratta, ma quando ci indicano la mamma dello sposo che balla tutta felice, cominciamo a farci un’idea. Ci tratteniamo solo qualche minuto prima di riprendere la strada di casa, alle 21:00 il pullman notturno mi riporterà a Kathmandu e ovviamente devo ancora preparare lo zaino.
Special thanks to Elena for sharing the pictures: no phone no party!
Nonostante la brutta esperienza, l’Australian Base Camp è un luogo meraviglioso, ancora più magico se ci si trascorre la notte. Se ci andate, fatemi sapere com’è stato e ricordate di portare una felpa in più, fa freddo!!
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